"Chi Educa Cresce" di Giacomo Poretti
Giacomo Poretti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo
Studiavo i rapanelli, mio figlio gli hedge fund
Storia di una carriera scolastica non troppo esemplare
"Ma oggi si è persa l'attitudine a desiderare"
Non sono il più adatto a parlare di educazione, anche perché se dovessimo attenerci strettamente al titolo del convegno "Chi educa cresce", risulta evidente che non posseggo il physique du rol dell’educatore. Con questo non voglio dire che non ci siano dei buoni insegnanti sotto il metro e sessanta: il problema è che poi il bidello rischia di scambiarti per uno di seconda elementare! E poi vi confesso che non ho avuto una brillante carriera scolastica, a cominciare dall'inizio, complice mia madre….
...Come posso parlarvi io di scuola? La mia scuola sembra collocata in un romanzo dell'ottocento, eppure era l'altro ieri.
...La mia era la scuola dei grembiuli neri con il fiocco colorato, del patronato scolastico che regalava le matite e i quaderni ai bambini poveri: anche a casa nostra ne avevamo bisogno, ma mia mamma mi diceva "mi raccomando non prenderli, non dargli soddisfazione a quelli lì....", era la scuola che i professori e i maestri avevano sempre ragione, tranne quello che si addormentava.
Posso parlarvi solo come genitore; un genitore che conserva ancora il rammarico di non aver mai conseguito la maturità scolastica, che custodisce vergognosamente l'invidia verso un qualsiasi laureato, che mantiene ancora inalterato il fastidio verso un giovane che alla domanda "che classe fai ?", risponde "quarta ginnasio"....devo pensarci cinque minuti e poi dire .."terza liceo...", "no prima liceo..!", e allora dì prima liceo, perché devi dire quarta ginnasio con quella vocina lì, te lo dico io il perché: perché te la tiri, ecco perché.... "quarta ginnasio!" ma va a quel paese!
Eppure deve esserci qualche cosa di avverso nel mio destino rispetto alla scuola, perché poi l'incontro più significativo di lavoro è avvenuto praticamente con due analfabeti: ad uno in particolare, Aldo, quando frequentava le scuole medie è stato scritto sul libretto di valutazioni finali: "Attitudini: nessuna". E' meglio stare attenti quando si esprimono dei giudizi così categorici, avrebbero potuto aggiungere un ... "forse, probabilmente, allo stato attuale delle cose, ma forse chissà? in futuro....e invece no: attitudini nessuna!"
Io me lo immagino il collegio dei docenti della scuola di Aldo, che magari si ritrovano per una pizzata una volta ogni 10 anni..."ma te lo ricordi quel terrone che scriveva ho senza l'acca, è finito in televisione....che culo che ha avuto!" Non è possibile, secondo me Aldo deve aver rubato le gomme dell'auto al Preside per essere trattato così.
Trattenete l'indignazione, io e Giovanni che lo conosciamo bene, possiamo dire che i suoi insegnanti.... avevano ragione.....nel senso che non era tagliato per la matematica, la fisica, il passato remoto, il congiuntivo e il condizionale, ma aveva talento ed anche tanto; il problema è scoprirlo, riconoscerlo.
A miei tempi, quando suonava la campanella, alle 13, si andava casa a mangiare dai nonni, e poi via all'oratorio a giocare fino a quando diventava buio; il prete che faceva da tata a tutti i ragazzi del paese, doveva scacciarti a pedate nel sedere per mandarti a casa a fare i compiti.
Ai miei tempi, oltre alle pedate del prete, dovevamo schivare anche la noia, la solitudine; si era costretti ad usare la fantasia perché i giocattoli erano uno massimo due, bisognava sempre escogitare qualche cosa per divertirsi perché l'Ipad non c'era e i corsi di pianoforte e karate poteva permetterseli solo il figlio del dottore. Ora è tutto diverso.
Mio figlio ha iniziato da poco la prima elementare e ha già 5 insegnanti, Aldo ne ha avuti 3 in tutta la vita.
Mio figlio il lunedì ha inglese, il martedì immagine e disegno, il mercoledì attività motorie, il giovedì musica; adesso stanno valutando per il venerdì di introdurre analisi dei prodotti finanziari, hedge found e future.
Un pomeriggio ha il corso di nuoto, un altro scuola di calcio e forse lo iscriveremo a deltaplano spericolato, ma solo perché lo fa il suo amico migliore.
Però vedete, a parte l'ironia, la cura con cui lui e i suoi amici vengono seguiti, l'attenzione, la dedizione che ci mettono tutte le maestre, non può che essere un'opportunità incredibile per loro: se hanno un talento, e da qualche parte c'è, perché tutti ce l’hanno, anche Aldo, se sei aiutato salta fuori. E poi vedete, il talento non è quella cosa che appartiene solo ai geni e agli artisti, il talento "è l'ingegno, la predisposizione, sono le nostre capacità intellettuali o manuali rilevanti; il talento è la nostra inclinazione, il nostro istinto, la nostra voglia, il nostro desiderio; i talenti sono i simboli dei doni che Dio ci ha fatto".
Il talento non lo posseggono solo gli artisti bizzarri ed eccentrici. Tutti hanno i loro talenti, perché bisogna possedere del talento per fare bene qualsiasi professione.
E queste maestre moderne, le maestre di questa scuola meravigliosa che è La Zolla hanno un progetto: tirare fuori lo straordinario che c’è in tutti loro, sono le levatrici del talento dei nostri bambini, del loro tesoro.
...Che lavoro difficile educare. Che responsabilità!
Devi proprio amarlo il tuo lavoro per stare lì tutti i giorni con dei bambini che scrivono la I che sembra un tronco di ulivo, che hanno solo voglia di alzarsi e giocare; devi essere appassionato della conoscenza, delle cose straordinarie della vita, per poterle trasmettere; ma come si fa ad appassionarli alle stelle e ai pianeti se tu stesso non hai dentro un brivido tutte le volte che guardi in alto; come fai a tenerli lì dei bambini di 6 anni e raccontargli dei microbini, e dei batteri, quelli che ti fanno venire il mal di gola come a Filippo e poi deve prendere l’antibiotico, se non sei curioso del mistero e della perfezione del nostro corpo? Come si fa a spiegare ad un ragazzo che è preferibile essere onesto piuttosto che essere un ladro, che argomenti devi escogitare per spiegargli che è ingiusto rubare la merendina del tuo compagno o le matite del suo astuccio, se non possiedi dentro un progetto di bene e di giustizia; quanto devi essere appassionato del linguaggio, della comunicazione tra esseri umani per poter insegnare una lingua straniera? E soprattutto quanto devi essere bravo per insegnare una lingua ostica come l’inglese: l’altro giorno mio figlio mi ha detto "papi, i am so tired, i go to bed", gli ho risposto "yes, quas quasi vegni anca mi".
Ho dovuto ammettere che non è l’inglese ad essere difficile, diciamo che non posseggo il talento per le lingue. Come è difficile educare! Ma contemporaneamente come deve essere facile se entri in contatto con i loro desideri, che è sempre desiderio incommensurabilmente di immenso.
Perché, io non sono un filologo, non posseggo nemmeno questo talento, ma mi sembra di intuire che c'è differenza tra istruire ed educare: se voglio solo istruirti mi attengo a procedure e programmi, ed è giusto e così bisogna fare; ma se voglio anche educarti devo avere un progetto, devo avere uno scopo, di più, educandoti devo introdurti alla realtà ed inevitabilmente si entra in contatto con se stessi.
E qua si fa tutto difficile e delicato perché come dice Giussani "...stiamo con la nostra fragile libertà di fronte all'insondabilità dell'altro".
Non deve essere stato facile stare davanti all'insondabilità di Aldo, come di chiunque altro, ma forse se sei disposto a guardare e stare in ascolto, forse, dall'insondabilità di un ragazzo può emergere paura, timidezza, inadeguatezza.
Se ci si attiene soltanto alle procedure, c'è solo da sperare che la materia insegnata attecchisca e basta; invece se vuoi educare sei costretto a stare su quella soglia di insondabilità tu e lui, ed entrambi, nella fiducia reciproca che si può instaurare e che va incoraggiata, possono dialogare, a quel punto anche l’insegnante cresce perché è costretto dalla circostanza a comprendere i meccanismi di difficoltà e a diventare creativo per aiutare il ragazzo ad esprimere tutta la sua particolarità e originalità.
...Credo che la cosa più grande sia lasciarlo andare il proprio figlio, privarsi come genitore di quella simbiosi tenera e protettiva e lasciarlo andare verso il suo fiorire, verso la sua straordinaria unicità, aiutarlo in questo progetto alleandosi con la scuola.